Cronaca, In primo piano
La Corte di Appello ha assolto un sottufficiale della Guardia di Finanza, annullando la condanna emessa dal Tribunale di Foggia in primo grado, alla pena di anni 2 di reclusione, dal reato di falso in atto pubblico per difetto di dolo.
Il militare era accusato di aver firmato un verbale di sopralluogo unitamente ad un ispettore del servizio igiene e sanità pubblica, mentre in quello stesso momento si trovava a deporre in un ‘aula di tribunale; pertanto, secondo l’accusa il militare non poteva trovarsi contemporaneamente in due posti.
L’accusa è arrivata al militare nell’ambito di un procedimento per corruzione a carico di altri pubblici ufficiali di altra amministrazione, mediante l’utilizzo di un’intercettazione disposta proprio per il procedimento di corruzione da cui il sottufficiale era totalmente estraneo.
Utilizzando questa intercettazione è stato possibile per l’accusa accertare l’anomalia in merito alla presenza del militare della Guardia di Finanza, presente contemporaneamente in due posti differenti e distanti tra di loro.
La Corte di Appello richiamando un orientamento delle sezioni unite della Cassazione, invocato dalla difesa del militare rappresentata dagli avv. Raul Pellegrini e Antonio La Scala, ha ritenuto nulla quell’intercettazione perché autorizzata in altro procedimento rispetto al quale il diverso reato di falso accertato non richiedeva, ai sensi dell’art 270 CPP l’arresto in flagranza e, pertanto, era inutilizzabile.
Venuta meno l’intercettazione, è rimasta in piedi la dichiarazione del militare che ha ammesso di aver firmato l’atto successivamente sia perché era in udienza per un arresto in flagranza e non poteva muoversi, sia perché l’Autorità giudiziaria aveva chiesto alla Guardia di Finanza solo un’attività di mero ausilio agli ispettori di igiene non avendo ruolo attivo in quella specifica attività e, pertanto, apponendo successivamente la firma non ha ritenuto di alterare la realtà fattuale attestata dall’ispettore della sicurezza titolare dell’indagine.
Infine, la difesa ha dimostrato che da quell’attività il militare non ha né chiesto né percepito alcuna indennità particolare e pertanto non aveva alcun motivo per attestare il falso. In sostanza la prova è stata ritenuta dalla Corte incompleta e fallace tanto da indurla ad emettere una sentenza di proscioglimento pieno.
(Testo a cura di Mauro Nardella)