L'autore Antonio Colasanto

InsideCapitanata.it. Foggia, 20 marzo 2025 – Con Peccato Originale, Antonio Colasanto propone un’opera intensa e simbolica, che va oltre il romanzo tradizionale per trasformarsi in un’allegoria di una catarsi collettiva.

 

Il libro racconta la solitudine di un uomo abbandonato da tutto e tutti, reo di aver violato un codice non scritto, rinnegato e condannato come un moderno Giuda.

 

Un viaggio emotivo e morale che scuote e invita alla riflessione.

 

Dopo il successo di Favugne – Storie di Mafia Foggiana, l’autore torna con un’opera che intreccia introspezione personale e critica sociale, offrendo al lettore una narrazione capace di lasciare un segno profondo.

 

In questa intervista approfondisce la genesi del libro, il significato del protagonista e il valore della letteratura come strumento di analisi e denuncia.

 

L’intervista: Antonio Colasanto

 

 

 

IC: Cosa ti ha spinto a scrivere Peccato Originale e come è nato il concetto di “peccato collettivo” che attraversa l’opera?

 

AC: Quando nell’ormai lontano e nefasto 2021 – in piena pandemia – decisi di buttar giù i primi capitoli di Favugne – Storie di mafia foggiana, mi trovai dinanzi a diverse storie di disperazione da raccontare. Drammi individuali, ferite collettive, con la penna quale unico – seppur irrisorio – palliativo morale. Come spesso accade, però, certe storie scavano dentro dirupi più profondi. Voragini esistenziali in grado di renderci madri e padri impotenti dinanzi ad un “Alfredino interiore“. La storia di Mario Nero, dentro di me, è stata questo: l‘epifania di una colpa collettiva. L‘amara consapevolezza che ciò che è moralmente giusto può divenire ostaggio e vittima di una legge sociale uguale e contraria. Norme non scritte nei codici sì, ma urlate tra i vicoli, che di fatto condizionano l‘agire. Talmente pervasive da ribaltare e invertire il comune sentire. E noi che non l’abbiamo impedito e continuiamo ad accettarlo, non possiamo che esserne colpevoli.

 

IC: In che modo la storia del testimone di giustizia Mario Nero ha influenzato la trama e i temi del libro?

 

AC: Pur trattandosi di pura narrativa (non è un libro biografico né storiografico), le vicende di Mario Nero agiscono quale sorta di canovaccio, di vademecum, di struttura portante dell’intera narrazione. E non solo per quanto concerne l’omicidio Panunzio ma, anche e soprattutto, per tutto ciò che ne è conseguito. E tante cose, molte ancora oscure, sono avvenute. In sostanza, il “memoriale“ – a firma dello stesso Mario – ha operato quale fonte ispiratrice da cui attingere il significato e non il significante del romanzo. Dopo tutto, «il significante è un sasso in bocca al significato».

In memoria di Mario Nero, ph. Facebook ufficiale Associazione Giovanni Panunzio Eguaglianza Legalità Diritti

 

IC: Il libro mescola elementi autobiografici e di storiografia criminale: come hai trovato il giusto equilibrio tra questi due aspetti nella narrazione?

 

AC: La scelta iniziale, condotta per l’intera narrazione, è stata quella di soffermarmi principalmente sul lato psicologico ed emotivo delle vicende. Volevo scrivere un libro diverso da quello precedente ed è per questo che ho rinunciato a ricondurre i personaggi (in primis gli esponenti della “Società foggiana“) sul piano della realtà processuale e giornalistica. Inoltre, redigere un libro biografico o storiografico su tali vicende è pressoché impossibile, a meno che non si voglia incorrere facilmente in qualche querela. Quello che garantisco è che chi vuol capire è perfettamente in grado di farlo. E se c’è o meno equilibrio tra i due aspetti, questo spetterà al lettore stabilirlo.

 

IC: Quali sono le principali riflessioni morali ed emotive che speri di suscitare nel lettore?

 

AC: L’unico obiettivo di questo libro è far trapelare un filo di luce nel buio indifferente a questa vicenda. È una di quelle storie che tutti conoscono (seppur limitatamente all’omicidio Panunzio) e pochi trattano. A volte, ahimè, volutamente. Un disinteresse visibilmente stigmatizzato nei “Giardini Mario Nero“, abbandonati all’incuria e all’oblio di memoria.

 

IC: Peccato Originale è un libro che si confronta con il concetto di redenzione: pensi che sia possibile una catarsi collettiva in un contesto sociale complesso come quello descritto nel libro?

 

AC: Se non pensassi che un libro sia in grado di contribuire alla “rivoluzione culturale“, arma fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata, non credo avrei mai scritto. Un libro può aiutarti a riflettere, a ricordare, a scegliere da che parte stare, a pretendere un cambiamento. Ma ha anche bisogno di propagarsi, di mostrarsi, di viaggiare di mano in mano. In questo, ahimè, gli autori non hanno voce in capitolo. Sta a chi gestisce il sistema culturale farsene carico, operando quale cassa di risonanza. E quasi sempre, purtroppo, esigenze di business e scelte “mainstream“ lo impediscono.

 

IC: Come hai sviluppato il personaggio principale, quest’uomo solo che lotta con il proprio coraggio? Quali aspetti della sua psicologia ti sono stati più difficili da esplorare?

 

AC: Potrei parlare di una sorta di metodo Stanislavskij di natura letteraria. Ho tentato di calarmi all’interno della psiche di un povero “apolide di Stato“, interiorizzandone i tormenti, le angosce, le paure. La familiarità con certi disagi psicologici mi ha probabilmente aiutato in questo, riuscendo a tradurre con maggiore facilità certi linguaggi della mente. Ma è ovvio che nessuna strategia attoriale potrà mai suscitare le stesse emozioni di chi le ha vissute sulla sua pelle. Come fai, del resto, a immaginare e riprodurre la disperazione di un uomo abbandonato a sé stesso se hai sempre potuto contare su qualcuno? Neanche il miglior attore ci riuscirebbe.

 

IC: Cosa pensi della relazione tra l’autore e il lettore in un’opera come questa, che sfida le contraddizioni e mette in discussione le verità condivise?

 

AC: Anche in questo libro vi è la totale identificazione, sotto il profilo emozionale, tra autore e potenziale lettore. Quando scrivo, parto sempre dal presupposto che ciò che racconto debba collimare con ciò che vorrei leggere e, dunque, con ciò che proverei nel concreto. Non tento mai di pormi in una posizione sopraelevata, come di chi sa qualcosa in più del lettore. Le emozioni che riporto all’interno delle pagine sono le stesse che proverei trovandomi dinanzi ai fatti raccontati. Non creo nulla, non impongo altro, sono solo il portavoce di me stesso. In realtà, spero anche di qualcun altro come me.

 

IC: In che misura Peccato Originale si inserisce in un discorso più ampio sul territorio foggiano e le sue dinamiche sociali e politiche?

 

AC: Ogni autore porta con sé il suo bagaglio di conoscenze dirette. La realtà che racconto è quella che ho vissuto o acquisito per il tramite di chi ne ha memoria. Ecco, dunque, la scelta di ambientare i miei racconti a Foggia o Orta Nova che comporta l’impossibilità di tralasciare certe dinamiche politiche o sociali peculiari. L’atteggiamento della collettività e della classe politica verso i fenomeni criminali gode di ampio spazio nella narrazione perché è qualcosa che ho visto con gli occhi e toccato con mano. Lo sguardo non può che essere critico e finalizzato a indurre il lettore ad una riflessione sulla necessità di cambiare le cose. O meglio, cambiare prima noi stessi.

 

IC: Cosa speri che il lettore porti con sé dopo aver letto il tuo libro?

 

AC: D’impeto direi “suscitare qualcosa“. Che sia indignazione, tristezza o rabbia, poco importa. Potessi scegliere, vorrei che fossero i ragazzi a provarle. Mi è già capitato di parlare con loro e ho potuto cogliere nei loro occhi e nelle loro parole un desiderio di confronto che negli adulti è spesso assente. Le domande più interessanti che ho ricevuto mi sono state poste da adolescenti, il che è tutto dire.

 

IC: Hai progetti futuri legati alla scrittura o altri lavori in corso che desideri condividere con i tuoi lettori?

 

AC: Non mi interessano recensioni, non cerco encomi, non desidero premi. Quello che so è che già frulla nella testa la prossima “ossessione“ di penna. Di sicuro, si tradurrà – scongiuri a parte – in un ritorno a quello che so far meglio: raccontare la mafia con nomi e cognomi. I protagonisti? Le “pecore nere“ sulle alture garganiche, vecchia questione in sospeso.

 

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L’autore Antonio Colasanto

 

 

Cenni biografici dell’autore

 

Antonio Colasanto nasce a Foggia il 28 novembre 1987.

Nel 2014 consegue cum laude la laurea in “Consulente del lavoro ed esperto di relazioni industriali” presso l’Università degli Studi di Foggia.

Nel 2018 consegue cum laude la laurea magistrale in Giurisprudenza, presso l’Università Statale di Milano. Dal settembre 2019 svolge il ruolo di analista presso l’OMCOM (Osservatorio mediterraneo sulla criminalità organizzata).

È fondatore e amministratore della pagina Facebook “Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”, finalizzata alla condivisione e sensibilizzazione su contenuti inerenti alla tematica mafiosa, con particolare focus sulla criminalità foggiana.

Nel marzo 2023 pubblica il suo primo libro dal titolo “Favugne-Storie di Mafia Foggiana”, edito da IBC edizioni (Isbn 978-8896068-59-5)

Nel novembre 2023 vince il premio “Libro Scomodo” della Fondazione Antonino Caponnetto.

 

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