La comunicazione politica dai toni populistici, divisivi, ultimativi, definita dagli esperti di marketing politico “liquida”, tesa in maniera spasmodica alla continua ricerca di un consenso elettorale effimero, facendo leva più sull’emotività che sulla razionalità, si è fortemente insinuata nell’ambito dei social, ma si è anche avvalsa di una potente rete di media nazionali tramite i normali canali di divulgazione televisiva e alcuni dei maggiori giornali italiani, che hanno contribuito anche ad alimentare non pochi luoghi comuni e pregiudizi che presentano il Mezzogiorno con un’ottica distorta.
Da quest’ultimo punto di vista, non solo l’informazione politico-mediatica “liquida” ha fatto scuola, anche il sistema pubblico dell’informazione ha contribuito decisamente a far percepire il Mezzogiorno come un’area dalle problematiche irrisolvibili.
Infatti, i docenti universitari di sociologia dei processi comunicativi Stefano Cristante e Valentina Cremonesini, in un testo pubblicato nel 2015 (La parte cattiva dell’Italia. Sud, media e immaginario collettivo), hanno reso noto i loro studi statistici: il TG1 della RAI, negli ultimi 35 anni, ha dedicato solo il 9% delle notizie al Mezzogiorno e quasi solo per parlarne male: cronaca nera, criminalità, malasanità, meteo.
Tralasciando le statistiche di giornali e tv di proprietà privata che mettono quotidianamente in cattiva luce il Mezzogiorno, colpisce nello studio dei due studiosi che anche il Corriere della Sera e la Repubblica abbiamo dedicato spazi esigui al Sud, passando dai 2000 articoli del ventennio 1980-2000 ai 500 del decennio 2000-2010, occupandosi quasi solo di metterne in rilievo i mali e ignorandone sistematicamente gli estesi e avanzati processi culturali nel mondo dell’arte, della musica, del cinema, della cultura in generale.
C’è una convergenza perfetta, e sospetta, tra il potere politico-finanziario nord-centrico e i media negli ultimi 35 anni.
Tornando alla comunicazione politica “liquida”, è indubbia la preoccupazione che essa genera visto che occupa una fascia importante dell’informazione che conta, peraltro quasi totalmente accentrata nelle mani di poteri politici-finanziari di parte sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista geografico e territoriale, creando nelle popolazioni con una vera e propria operazione di distrazione di massa continue ansie, paure, incertezze, odio verso nemici spesso immaginari e nei confronti della parte debole e abbandonata del paese: il Mezzogiorno.
Buona parte della televisione italiana ha da anni inaugurato una comunicazione dominata dalla presenza di una ventina di commentatori a vario titolo onnipresenti (politici, intellettuali, giornalisti, sociologi, economisti), che impongono con un linguaggio urlato, supponente, arrogante le posizioni politiche, culturali, economiche pretese da chi finanzia, gestisce e produce il talk show televisivo.
Talk show che ha, tra gli altri, il fine di produrre profitti attraverso le sponsorizzazioni.
Ed ecco che commentatori politici e non, dai curriculum dilatati e spesso improbabili, vengono messi su di un piedistallo e diventano famosi, al prezzo di assolvere l’unico ruolo per il quale sono stati selezionati: dare sempre e comunque ragione al conduttore, urlando e sbraitando selvaggiamente contro chiunque dissenta dalla scontata e spesso squallida linea redazionale, trovando sempre il conforto e il supporto di un pubblico plaudente a comando che alimenta la percezione in telespettatori, spesso sprovveduti, che quello sia il modo onesto e persino serio di affrontare problematiche spesso inventate di sana pianta.
E’ così che molti cittadini italiani hanno assorbito odio e paranoie, convincendosi attraverso il supporto di statistiche spesso non certificate che la delinquenza sia aumentata, che gli stupri siano compiuti da un’etnia particolare, che i clandestini siano il primo problema in Italia, che vi sia in atto una sostituzione etnica e religiosa, che le case popolari siano assegnate a profughi ed extracomunitari, che chi affoga in mare se la sia cercata, che il Sud è la palla al piede dell’Italia e, in questi tempi di emergenza sanitaria, che i meridionali non rispettino le regole, mentre viene continuamente evidenziato che le carenze strutturali della sanità meridionale sono sempre e solo questione di mafia, di amministratori incapaci, di mentalità sottosviluppata della gente.
Mai che, oltre alle gravi responsabilità di una classe politica meridionale incapace di governare il proprio territorio, vengano rivelate le responsabilità precise di governi nazionali, di destra e di sinistra, che hanno deciso con scelte politiche chiare di non ridurre il divario Nord-Sud e di non affrontare di petto la questione mafia, alimentando e aggravando i fenomeni di degrado, di abbandono, di miseria, l’emigrazione e lo spopolamento di intere aree territoriali.
Ma come siamo arrivati ad una televisione del genere? Una televisione in cui i conduttori e gli ospiti fissi esercitano spesso un ruolo decisivo nell’influenzare l’opinione pubblica al servizio di interessi particolari (finanziari, politici, promozionali), esulando dalla funzione di intrattenere il pubblico dando un’informazione corretta e certificata con dati chiari.
Una televisione che non va assolutamente sottovalutata perché, seppur spesso non avente un grande seguito, taluni talk show vengono continuamente rilanciati sui social da referenti politici di riferimento e da sponsor raggiungendo decine di milioni di persone e riuscendo a rappresentare nella percezione comune una realtà distorta, spesso fingendo di colpire le élite mentre ne sono lo strumento, amplificando la voce di personaggi da macchietta per confutare e confondere quella di veri intellettuali ed esperti, facendo persino passare le vittime come delinquenti beneficiati e i delinquenti come vittime.
Cosa fare di fronte allo scempio informativo e al disastro culturale imposto da queste trasmissioni dal potere politico-mediatico fortissimo?”
A cura del Prof. Michele Eugenio Di Carlo