San Marco in Lamis (Fg), 7 maggio 2023 – Si riporta di seguito il racconto di Anna Piano “In compagnia degli animali”:
Emilia, ricordava, seduta alla sua poltrona, di aver avuto il pensiero ecologico verso la terra, la natura, gli animali sin da quando i suoi ricordi riuscissero a giungere. Essendo nonna, meravigliosamente, la sua mente aveva dato luce e chiarore a quelli risalenti la prima infanzia. Il suo cuore piccino, sin d’allora batteva veloce quando vedeva un animale, soprattutto se nel pericolo. Aveva uno spirito di empatia che la portava a volerli proteggere da ogni mala sorte. Purtroppo, il mondo che la circondava non la rifletteva, dando vita ad ansie e timori. Il suo desiderio, per una vita felice, era vivere in armonia con tutte le anime che avessero un respiro, con le piante che in diverso modo compiono il medesimo atto ,per crescere, donarsi al mondo in tutta la loro sublime bellezza e diversità. Oggi è un argomento trattato da enti prestigiosi internazionali, studiosi, appassionati, religiosi, filosofi, ecc. Emilia, invece, li aveva dentro, sebbene non avessero un nome. Vissuti in un enclave, fra le belle coppe del Gargano, dove viveva, non vicino al mare, nella verdeggiante valle lo Starale, San Marco in Lamis.
Erano gli anni 50-60, la ricerca dei beni primari, la ancora lacunosa scolarizzazione, non poneva al centro il tema degli animali, tanto meno il comportamento da tenere nei loro confronti. Credo fosse l’utilità a guidarne le scelte. Senza ombra di dubbio, chi dedicava la vita alla campagna creava inevitabilmente rapporti affettivi con i suoi animali. Ne riconosceva capacità e personalità. Ad essi dava un nome: al cane, al gatto, al maiale, al toro, alla mucca…Non in ugual modo e non a tutti. Nel periodo in cui persino ai figli non si elargivano carezze e moine, verso le altre creature della Terra si assumevano distanze. Per i bambini la storia era diversa. Il cuore del fanciullo naturalmente prova una certa affettuosità.
Antonio, ingegnere (classe 1948) nato sui monti del Sub-Appennino, nella provincia di Avellino, ancora ricorda della sua amicizia con un toro, Maggione. Grande e forte, capace di tenerezza ed obbedienza alle parole e gesti di un bambino nell’età prescolare. Antonio lo esortava a sfasciare le fascine di legna del nonno tat’Antonio o ad intimorire qualche antipatico passare. “Antoniuccio, chiama il toro!” Urlavano infrascati fra i rovi, passanti che schernivano il re del pascolo.
Ognuno ha un ricordo, una storia vissuta o ascoltata da raccontare.
Lo stesso Martin Lintner, ordinario di Teologia Morale allo studio Teologico accademico di Bressanone e presidente dell’International Network of Societies for catholic theology nel saggio “Etica Animale. Una prospettiva cristiana”, parte dal suo vissuto. Figlio di contadini ed allevatori. Così narra: “ L’amore per la natura e per gli animali, mi è stato instillato fin dalla culla. I ricordi della mia prima infanzia sono popolati dai tanti animali che erano nel maso dei mie genitori….Una mucca che era particolarmente buona, tanto che a noi bambini piaceva accarezzarla o appoggiare l’orecchio sulla sua pancia per sentire i rumore della digestione…”. ¹
( ¹web, Martin M. Lintner, Etica animale, Una prospettiva cristiana, Collana: Biblioteca Contemporanea).
Eppure, il dire comune era di separazione e netta distinzione fra l’uomo e l’animale.
Nei nostri paesi, anche dal punto di vista religioso, il principio diffuso che orientava il comportamento e le relazioni con queste creature era dettato dalla nota frase del libro sacro: “Dominerai sugli animali della terra, sui volatili del cielo, sugli animali delle acque marine”.
Dominio e necessità per la vita di quei tempi.
Probabilmente si era presi da altre preoccupazioni. Realmente non ci si poneva la domanda. Il problema non esisteva.
Sebbene le premesse fossero queste, concretamente l’animale era presente al punto che persino gli spazi comuni venivano condivisi.
Penso ai pastori, contadini che facevano ritorno a casa in occasione delle festività con il proprio asino o mulo. Il pollo (lu jadducce) vivo, dalla bella cresta e bargigli rossi, gli occhi aperti e spaventati, appeso di testa in giù al basto del somaro. La sua sorte era chiara. Nessuno ci pensava. Era la normalità. Il giorno, il somaro veniva legato avanti casa. Accanto la porta d’ingresso in legno (primi anni 50), senza vetri, un anello di ferro, ben saldo nel muro di pietra e calce. Alla sera, ritirato in un angolo della modestissima abitazione a piano terra. Sotto lo stesso tetto trovavano riparo uomini ed animali.
Sulle Coppe del Promontorio, ancora oggi si vedono li pagghiare. Caratteristiche costruzioni in pietra a secco, di forma rotonda con piccola entrata, per lo più senza porta. Era spazio comune, esattamente come il pascolo, il suolo che calpestavano. Il pastore viveva la maggior parte della vita con i suoi animali, servo e padrone. Proprio per difenderli o per tutelare il pascolo, nascevano liti e guerre furibonde fra confinanti.
Nelle famiglie povere dove il denaro era una chimera, la forma di scambio il baratto, per poter crescere il maiale lo allevavano in casa, almeno fino a Natale. La necessità di sopravvivere superava ogni doglianza. C’era chi non possedeva neanche un tumulo di terra. Per procurarsi un desinare nutriente aveva a disposizione solo la propria dimora. Non c’era una netta distinzione fra animali d’affezione ed altri.
Negli anni 50 inizio anni 60, avanti le proprie dimore, soprattutto quelle a pianoterra, non poche famiglie disponevano di un pollaio. Di solito si componeva di una gabbia realizzata a mano con telaio in legno e rete metallica, a trama larga romboidale. Dentro una decina di galline ed un galletto. Spesso, venivano liberate per poter girovagare e razzolare per le strade in terra battuta. Questa pratica cessò con il piastrellamento delle vie.
Emilia era ben felice, quando tornando a casa, dopo aver giocato allegramente, insieme alle graziose amichette, fra le vie del quartiere dell’Addolorata, trovava appollaiata, nel portone di casa, sotto la rampa delle scale, sullo zerbino, dietro l’anta che rimaneva sempre chiusa, la gallina della sig.ra Lina Ciampulejia. Lasciava un bell’uovo dal guscio bianco. Comodamente usciva orgogliosa e cantando a squarciagola: “Coccoccoccoccoccodeèèèè”.
Averle intorno non creava disagio e tanto meno ci si faceva caso. Esistono foto ricordo di belle spose vestite di bianco, in posa con le famiglie avanti le abitazioni, vestiti con l’abito più bello, con tanto di galline indaffarate a gironzolare, sempre in cerca da mangiare. Come riconoscessero il proprio pollaio, quando all’imbrunire ne facevano ritorno, è un mistero o una prova che ogni animale è dotato di una forma d’ intelligenza.
I gatti si tenevano per necessità, cacciavano topi e lucertole. ² Anche la sorella di Emilia ne volle uno, Fru-Frù. Sempre affamato. Fu lesto quando con un salto rapace rubò, con un sol boccone, il pezzo di carne a ragù, ancora caldo nel piatto del fratellino. La carne si cucinava alla domenica. Le porzioni non abbondanti. Nardino ci rimase male. Lo rincorse per tutta la casa. Nulla potette fare al confronto della destrezza ed agilità del felino. Fru-fru, fu astuto e lesto. Non vi erano croccantini nella ciotola ad ammansirlo o saziarlo.
Nardino continuò ad amarlo. Le sue fusa le trasmettevano pace e serenità. Il gatto sparì dall’oggi al domani. Quale fu la sua fine mai lo seppe. Forse fuggì per vivere in libertà, come tanti altri suoi simili.
(²Testimonianza a cura di Angelo Nardella , Angelina Cursio, Lucia Piano, classe anni 40-50).
Nella caratteristica casa di Emilia, nella camera da letto, la stanza che si incontrava salendo la prima rampa di scale, finemente arredata con mobili realizzati dal più bravo mastro falegname sanmarchese, appesa ad una catenella attaccata alla volta, proprio al centro, davanti al balconcino, la gabbia con il canarino verdone.
Cantava come il miglior soprano, per tutto il giorno. La vetrata era alta. La luce gli arrivava abbondante. Durante la bella stagione, la mamma poneva la gabbietta al muro, sul balconcino dalla ringhiera in ferro. Un ricamo dei fabbri, storici artigiani eccellenti del paese. La installava sopra le piante delle rose, fra le belle di giorno. Allora il suo canto rallegrava la strada Arrivava a tutto il vicinato che gradiva e vantava. Si univa al garrito delle rondini, regine fra i tetti, nell’aria tersa di quei tempi. Nel cielo si vedevano uccelli volare, raramente si avvistava un aereo.
Vicino le piccole porte delle case, nelle strade in salita, fatte di larghe scale in pietra e terra battuta, appese piccole gabbiette in legno, ospitanti colorati cardellini. Si dimenavano continuamente. (Oggi voglio ricordare che avere cardellini in gabbia privi di documenti è un reato.)
I pulli di gazze, caduti dal nido o le quaglie prese nella cova fra le stoppie, si allevavano per dare diletto ai figli o a chi nella famiglia nutriva tenerezza e passione.
Tanti bambini hanno fatto l’esperienza di avere una tartaruga. Sul Gargano è facile incontrarle. Anche adulte non diventano mai troppo grandi. Vederle è come fare un tuffo nella preistoria. Considerati animali da compagnia, oggi portarle a casa è severamente vietato (fino a sanzioni penali). Essendo un animale protetto, si possono acquistare da chi ne ha licenza. Sono accompagnate da certificato di identificazione.
La mamma di Emilia allevò una pica (gazza ladra). La chiamarono Nera-nera. Le tagliarono le penne delle ali per non farla volare. Di carattere nervosa e dispettosa, quando per gioco le toccavano la zampetta, beccava le dita con il suo forte becco. Viveva liberamente in casa. Giocava con gli oggetti luminosi, in particolare con il ditale della padrona. Lo prendeva dallo scatolo in latta dove la mamma conservava fili, aghi e forbici. Aveva persino un posto segreto. Vi nascondeva piccole cose, per lo più luccicanti, come la carta di un cioccolatino, il tappo in latta di bottiglia.
Emilia, un giorno, mentre giocava con la sua bambola, l’avvicinò a Nera-nera, per vedere la sua reazione. Spaventata arretrò, cadendo dal davanzale della finestra. Finì in strada, dopo aver battuto sui fili di ferro dello stentino sporgente, del piano sottostante. Morì. Il vicinato chiamò la padrona. Salirono a casa allarmati e dispiaciuti. La mamma pianse lungamente. Emilia visse un gran dolore. Un lutto riposto ancor oggi in un angolo del suo cuore. Si punì donando la sua povera colazione agli uccelli, per tanti anni, tutti i giorni.
Emilia, pur essendo bambina, non capiva come una mamma potesse legare la zampetta ad un malcapitato uccellino, per darlo in gioco al proprio bimbo. Un lattante incapace di controllare personali movimenti, di accudire un essere così fragile e piccino. L’uccellino, di solito un passerotto caduto dal nido, subiva violenza inaudita, sballottato da ogni parte, fino ad essere calpestato. Non erano comportamenti diffusi. Emilia, però, ne fu testimone. Non meno aberrante fu per la ragazza vedere cani randagi malmenati da bande di ragazzini. Sembrava non avessero sentimenti e rispetto per la vita di queste ingenue creature. Li impiccavano senza provare pietà, dolore. Tale comportamento, diffuso più di quel che si possa pensare, alla ragazza, procurava una sofferenza immane. La sua empatia innata con gli essere che riteneva deboli ed indifesi era dentro di sé, nella sua persona, nel suo essere, fino a non distinguere la differenza fra se e l’altro. Vide cani randagi con mezzo muso, sicuramente rotto da qualche bastonata. Pianse lungamente senza parlarne a nessuno.
Nel rapporto dell’uomo con l’animale, non vi è stata e non c’ è chiarezza.
Ancora oggi, nell’umanità non vi è medesimo riscontro riguardo leggi, usi, comportamenti, sentimenti, valori, considerazioni, filosofie…
A storie così tristi e disumane, altre promettevano un futuro migliore come quella di “Peppino e Cugughille.”
Peppino viveva a San Marco in Lamis dove era nato nel 1955. Oggi nonno, insegnante ed avvocato, vive lontano dal paese natio. La storia, però, non l’ha dimenticata.
Così la narra: “Cugughill era un cane bellissimo. Se fossi un credente, direi che fu un dono del Signore. Mi regalò un Angelo, un Angelo custode, un Angelo nelle sembianze di un cane, semplicemente perfetto.
Lo incontrai che avevo 15-16 anni, a Méze allu Chiane (Piazza del Piano, oggi p.zza Europa). Era un primo pomeriggio, di primavera. Un giorno soleggiato con tanta gente. Camminava, sparpagliata, pochi sui marciapiede, i più sulla strada, frammisti a qualche sparuta macchina che faceva il giro della rotonda. Qualche bicicletta, pedalata con tanta flemma, quasi ad evidenziare la lunghezza del pomeriggio che sembrava non passasse mai, nell’attesa della sera.
Lo vidi. Era lontano, da solo, tutto nero, lucido come il velluto, col nasino all’insù. Un grazioso e bel volpino dalla coda alta e fluente. Lo notai e mi preoccupai. Mi sembrò spaurito, disorientato. In quell’attimo preciso, anche lui mi aveva notato. Nonostante la lontananza, i nostri sguardi si incrociarono, si erano intesi. Era me che cercava. Io non feci nulla. Dopo pochi secondi era già alle mie calcagna. Da quel momento non me lo tolsi più di dosso. Era la mia ombra, il mio amico più intimo, il mio Angelo Custode e come tale si è sempre comportato, facendo onore al mandato che aveva ricevuto. E si, perchè lui era sempre con me. Camminava a venti centimetri dal mio piede, assolutamente libero. Era come se non ci fosse mai stato, mai intralciava il passo. Mai ha avuto una seppur microbica sbavatura comportamentale. Così mi aspettava sulla soglia del barbiere, quando andavo a tagliare i capelli, fuori dai bar che frequentavo per svago, spesso per guardare i miei compagni giocare a biliardino. Lo stesso avveniva quando, all’imbrunire, andavo a passeggio nella Villa Comunale, con tutto il gruppo di amici, lui era li, discreto, mai di intralcio.
Una vita, un idillio unico, che non durò molto. I genitori decisero di portarlo in campagna e di legarlo ad una catena….” ³Cugughille passò il resto della vita facendo buona guardia. Nessuno si poteva avvicinare senza che avvisasse con il suo abbaio. Conservò l’amicizia esclusiva solo a Peppino. Per la rabbia scrollava con la bocca uno pezzo di stoffa impolverata.
(³Ricordi di avv. e prof. Giuseppe Piano nato a San Marco in Lamis)
Solo qualche volta riuscì a liberarsi addentando i calzoni dei malcapitati ospiti.
A San Marco in Lamis, (anni 50) un animale che lavorò più delle sue stesse forze, passando per lo più inosservato, è stato il povero mulo che trainava il carro-botte per raccogliere gli escrementi umani, prima che si installassero le reti fognarie. Emilia, invece lo aveva ben notato. Sembrava fosse un peccato persino guardarlo. Sempre mesto al duro lavoro. Ubbidiente allu scrujate di Lazzaro lu vuttajole. Bastava facesse rumore sfilettando la corda a terra o alle ruote del carro per capire di doversi avviare. Il primo passo, sempre un grande sforzo. Soprattutto quando la botte era piena. Si fermava agli incroci delle strade. Lu vuttajole suonava la trombetta in ottone. Una sola nota. Le donne conoscevano l’ora. Scendevano dalle proprie case con li stagnere piene di acque reflue. Quelle che si formavano durante il giorno. Ognuna aumentava il peso del carico. Emilia osservava il suo sguardo dietro i grandi paraocchi. Sempre mansueto, remissivo, sottomesso e triste. Le mosche lo assediavano, non gli davano pace. Le scacciava muovendo la coda. Ogni tanto batteva lo zoccolo a terra. Le mosche, probabilmente lo ferivano mordendolo. Passava al mattino presto, quando il buio ancora nasconde i volti, per la raccolta degli escrementi umani. Il primo pomeriggio per l’acqua sporca. Gli animali hanno l’odorato più sensibile rispetto al nostro, povera bestia. Trainava il carro-botte fin sopra la salita di Casarinello. Un’altra discarica era vicino al canalone, allu scareche li vùtte, verso Porta San Severo. Canale naturale a cielo aperto e sotterraneo.
Lu vuttajole era custode del povero cavallo con cui lavorava. Sicuramente non lo teneva a digiuno. Non era pelle ed ossa. Consapevole che tirare un carico così cospicuo in salita e frenare in discesa, nonostante i freni al carro, necessitava forza ed energia.
Giovanni Meola, classe 1920, per sette anni soldato nella campagna d’Africa, con mansione di infermiere. La svolse anche sotto la prigionia degli inglesi. Al ritorno continuò la professione appresa durante la vita da militare. Da pensionato si dedicò a coltivare i suoi terreni piantando girasoli e frumento, sui bei colli della provincia di Avellino. Uomo saggio e tranquillo, osservando nel campo i grandi capolini dei girasoli, rivolti al cielo, notò come gli uccelli avessero mangiato più della metà dei succulenti semi. Mesto e consapevole, affermò: “L’uomo, con il suo lavoro, dà da mangiare anche agli animali”. Era per Lui naturale e consueto. Una frase semplice ma importante per capire un aspetto del rapporto uomo con gli animali. Infatti, lo vede custode. Gli animali hanno imparato a nutrirsi seguendo l’uomo. Vediamo gabbiani che dal mare arrivano nell’entroterra per seguire gli aratri. Mangiano i vermi scovati dai vomeri. Corvi che con il becco strappano le buste delle immondizie per gradire nostri rifiuti. Orsi e cervi che scendono dai boschi per raggiungere centri abitati. Il fine è rovistare fra i rifiuti dell’uomo per trovare un succulento boccone.
Purtroppo, le storie di vita di queste ingenue creature, il più delle volte, non hanno un lieto fine.
Far del male agli animali, provoca sofferenza e violenza, diretta all’essere che subisce ed indirettamente a chi queste creature le ama, come ad Emilia, a Peppino, a Giovanni, a migliaia e milioni di individui. Con il passar del tempo sempre di più. Nulla è certo e stabile.
Pertanto, attualmente, sebbene questi esseri viventi non siano soggetti di diritto (nel senso che non possono essere titolari di posizioni giuridiche come l’uomo), godono di una particolare tutela per via del sentimento d’affetto nei loro confronti e del ruolo sempre più importante che assumono all’interno della vita delle persone.
In forza di questo principio, man mano, si è aperto uno spiraglio alla tutela legislativa.
Riassumo di seguito, in breve, alcune leggi di riferimento.
(Il diritto degli animali.
Il primo diritto degli animali ad essere contemplato è quello alla vita: la legge punisce con la reclusione da quattro mesi a due anni chi, per crudeltà o senza necessità, provoca la morte di un animale [1].Sanzionando l’uccisione crudele di un animale, la legge ne riconosce implicitamente il diritto alla vita. Purtuttavia, il diritto alla vita degli animali non può essere equiparato a quello che spetta agli uomini: mentre, infatti, la morte di un uomo, quando provocata da altri, è sempre punita (salvo il ricorrere di cause di giustificazione, come ad esempio la legittima difesa), indifferentemente a titolo di dolo o di colpa, la morte di un animale provocata accidentalmente non è punibile, così come quella cagionata per evitare all’animale ulteriori, inutili sofferenze [2].Tant’ è confermato dal fatto che, mentre in Italia l’eutanasia applicata alle persone non è legale, lo è quella effettuata agli animali.
Il diritto degli animali a non soffrire
Non solo la vita, ma anche l’integrità fisica è un diritto degli animali, tant’è che la legge punisce espressamente il maltrattamento di animali. Il codice penale punisce con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da cinquemila a trentamila euro chiunque, per crudeltà o senza necessità, provoca una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. La pena è aumentata della metà se da questi fatti deriva la morte dell’animale. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi [3].Con questo reato, la legge intende punire tutte le condotte che, crudelmente (cioè, senza una vera necessità), oltraggiano l’animale, sia nel fisico che nella propria indole. Ovviamente, è difficile parlare di un vero e proprio diritto alla dignità dell’animale, il quale presupporrebbe una coscienza di sé non inferiore a quella dell’uomo. In effetti, la legge punisce non tanto la violazione della dignità degli animali, quanto la lesione del sentimento di pietà che gli uomini provano verso di essi. Secondo i giudici, i comportamenti insopportabili imposti all’animale idonei ad integrare il reato di maltrattamenti di animali sono quelli incompatibili con il comportamento proprio della specie di riferimento dello stesso, così come ricostruito dalle scienze naturali [4].
Il diritto a non essere addestrati con sofferenza
A proposito del reato di maltrattamento di animali ci si è domandati a lungo se l’utilizzo del collare elettrico per cani potesse integrare questa fattispecie di delitto, anche se utilizzato col fine di addestrare l’animale.
Secondo la Suprema Corte, l’abuso nell’uso del collare elettronico antiabbaio integra il reato di maltrattamento di animali, visto che ogni comportamento che produce sofferenze non giustificate nell’animale è idoneo a configurare il suddetto delitto [5].Più di recente, però, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’utilizzo del collare che sprigiona scosse elettriche è sì illegale, ma il suo utilizzo integra la semplice contravvenzione di abbandono di animali [6], reato all’interno del quale è sanzionata anche la condotta di chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze [7]
Il diritto degli animali ad essere curati
Secondo una pronuncia della Corte di Cassazione [8], gli animali che sono stabilmente detenuti dalle persone hanno il diritto ad essere curati e a vivere in un ambiente adeguato alle loro esigenze. Secondo i giudici, infatti, ai fini della condanna per maltrattamento di animali assumono rilievo non soltanto i comportamenti di violenza fisica, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale stesso, procurandogli dolore e afflizione.Nello specifico, una persona veniva imputata perché, nella sua qualità di titolare di un’azienda agricola, deteneva alcuni asini in condizioni incompatibili con la loro natura, arrecando loro gravi sofferenze: gli asinelli presentavano evidenti difficoltà deambulatorie e addirittura uno di essi non era più in grado di reggersi sulle zampe. Per tale condotta il proprietario degli animali veniva processato e condannato per il reato di maltrattamenti, in quanto, pur non ponendo in essere una condotta violenta, cagionava alle povere bestie una sofferenza contraria al comune sentimento di pietà verso gli animali che la legge tutela. Possiamo, quindi, dire che la sofferenza rilevante ai fini del reato di maltrattamenti non comporta necessariamente che si cagioni una lesione all’integrità fisica dell’animale, potendo la sofferenza consistere in meri patimenti interiori dello stesso.
Il diritto degli animali a non essere oggetto di spettacoli
Un altro diritto degli animali è quello a non subire spettacolarizzazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali; le pene sono quella della reclusione da quattro mesi a due anni e la multa da tremila a quindicimila euro, con possibilità di aumento da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di scommesse clandestine o al fine di trarne profitto per sé od altri ovvero se ne deriva la morte dell’animale [9].
Il divieto di combattimenti tra animali
Gli animali hanno il diritto di non essere posti l’un contro l’altro per il mero diletto delle persone, le quali ad esempio organizzano tali spettacoli per guadagnare sulle scommesse clandestine: si tratta del divieto di combattimenti tra animali.
Secondo il Codice penale, chi promuove, organizza o dirige combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali che possono metterne in pericolo l’integrità fisica è punito con reclusione da uno a tre anni e la multa da cinquantamila a centosessantamila euro, aumentata da un terzo alla metà al ricorrere di altre gravi circostanze (ad esempio, se nell’organizzazione sono coinvolti minorenni oppure se dei combattimenti è fatta ripresa). Il Codice, inoltre, punisce chiunque, allevando o addestrando animali, li destina sotto qualsiasi forma e anche per il tramite di terzi alla loro partecipazione ai combattimenti. La pena è la reclusione da tre mesi a due anni e la multa da cinquemila a trentamila euro. La stessa pena si applica anche ai proprietari o ai detentori degli animali impiegati nei combattimenti e nelle competizioni di cui al primo comma, quando consenzienti. A completamento della tutela c’è, infine, la norma che punisce anche gli organizzatori e gli scommettitori di combattimenti tra animali. La pena è la reclusione da tre mesi a due anni e la multa da cinquemila a trentamila euro [10].
Il diritto a non essere abbandonati
Come anticipato, tra i diritti degli animali c’è anche quello a non essere abbandonati dai propri padroni: il divieto è ovviamente rivolto in special modo agli animali da affezione, cioè a quelli che abitualmente fanno da compagnia agli uomini.
Il reato scatta solamente se a commettere l’abbandono è il proprietario formale dell’animale, ovvero colui che, pur non avendo dichiarato ufficialmente di possedere un animale (ad esempio, provvedendo all’iscrizione all’interno dell’anagrafe canina), lo ha tenuto in cattività o, comunque, se n’è abitualmente occupato.
Secondo la giurisprudenza, non costituisce abbandono di animali il caso del mancato ritiro di un cane dal canile municipale cui era stato in precedenza affidato dal proprietario [11]. Al contrario, un’altra pronuncia ha sancito che la stessa condotta (cioè, quella del mancato ritiro da parte del proprietario) costituisca reato nel caso in cui sia prevedibile (a causa della notoria negligenza e inaffidabilità,) che il canile cui l’animale era stato affidato proceda all’abbandono dello stesso nel caso di inadempimento del padrone [12].
Sempre la Suprema Corte ha condannato una signora che teneva numerosi gatti in precarie condizioni di salute, di igiene e di nutrizione, rinchiusi all’interno di gabbiette poste in un’abitazione dalla quale si propagavano odori nauseabondi [13].
Il diritto a vivere in ambiente adeguato
La legge conferisce agli animali anche il diritto a vivere in un ambiente adeguato alle loro esigenze: secondo la legge, rischia l’arresto fino ad un anno o l’ammenda da mille a diecimila euro colui che possiede animali e li fa vivere in condizioni inadeguate per igiene, spazio e, in generale, in riferimento alla loro natura.
[1] Art. 544-bis cod. pen.
[2] Cass., sent. n. 44822 del 24.10.2007.
[3] Art. 544-ter cod. pen.
[4] Cass., sent. n. 5979 del 07.02.2013.
[5] Cass., sent. n. 15061 del 13.04.2007.
[6] Art. 727 cod. pen.
[7] Cass., sent. n. 21932/2016.
[8] Cass., sent. n. 14734 del 4 aprile 2019.
[9] Art. 544-quater cod. pen.
[10] Art. 544-quinquies cod. pen.
[11] Cass., sent. n. 14421 del 08.04.2008.
[12] Cass., sent. n. 13338 del 10.04.2012.
[13] Cass., sent. n. 49298 del 19.12.2012.) ⁴
Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo: L. 14 agosto 1991, n. 281.
Benessere degli animali da compagnia e pet-theraphy: DPCM 28 febbraio 2003.
Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia: Legge 4 novembre 2010, n.201.
Ordinanza cani morsicatori: Ordinanza del Ministro della Salute, 6 agosto 2013.
Leggi regionali sugli animali familiari.
Macellazione: Regolamento n. 1099/2009.
Protezione degli animali negli allevamenti: D. lgs. n. 146 del 26 marzo 2001.
Protezione delle galline ovaiole: D. lgs. 29 luglio 2003 n. 267.
Trasporto: Regolamento CE n. 1/2005.
Protezione dei vitelli: D.lgs. 7 luglio 2011, n. 126.
Protezione dei polli da carne: D.lgs. 27 settembre 2010, n. 181.
Protezione dei suini: D.lgs. 7 luglio 2011, n. 122.
Protezione degli animali negli allevamenti: D.lgs. n. 146 del 26 marzo 2001.
⁴ LA LEGGE PER TUTTI. I diritti degli animali
Il Codice Penale modificato ad opera della Legge 184/2004, che ha introdotto il titolo IX bis, del libro II.
E’ dell’anno 2022 la modifica della Costituzione Italiana.
L’introduzione del principio dell’interesse delle future generazioni. E con l’indicazione di non ledere salute e ambiente anche per l’iniziativa economica. Il provvedimento, in concreto, modifica gli articoli 9 e 41 della Costituzione e incide direttamente sullo Statuto delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano in materia di tutela degli animali.
L’articolo 9 è nella prima parte della Costituzione, quella con i principi fondamentali. E’ l’articolo che tutela il patrimonio paesaggistico e quello storico e artistico. Con la riforma si attribuisce alla Repubblica anche la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi «anche nell’interesse delle future generazioni».
La legge dello Stato – viene poi aggiunto – «disciplina i modi e le forme di tutela degli animali»
C’è poi la modifica all’articolo 41.
Sancisce che l’iniziativa economica debba rispettare non solo la libertà e la dignità umana ma anche – questa la novità – la salute e l’ambiente, prevedendo per questo anche programmi e controlli.
Carla Rocchi, Presidente nazionale Enpa – Qualunque progetto o iniziativa deve comprendere anche gli animali. A partire dall’abolizione degli allevamenti intensivi, inaccettabili non solo da un profilo etico, visto la crudeltà che li caratterizza, ma anche da quello sanitario e ambientale.
Associazioni nazionali ed internazionali, con passione, tutelano diritti di queste anime innocenti, possessori della vita. Capaci di amare e soffrire. Desiderosi, come noi, di vivere sulla Terra.
Eppure non poche crudeltà si perpetrano a causa della filosofia antropocentrica dominante.
Se la Tradizione Giudaica, la Chiesa Cattolica, hanno dato un modesto contributo nel merito, il concetto di separazione fra esseri umani e natura non esiste in tutte le altre culture, soprattutto in quelle che hanno una visione, spirituale, olistica, animista, sciamanica o “New Age” o per le tribù indigene. Nella cultura religiosa orientale, induisti e buddisti, il confine fra l’umano e l’animale è meno marcato e meno utilitaristico
“Quella del Buddismo è una visione che si avvicina a quella ecologica. Un esempio di politiche a sostegno della Natura, viene dal Buthan. Questo regno buddista situato sull’Himalaya orientale, (influenzato dal buddismo mahayana), ha infatti sancito la resilienza ecologica nella sua Costituzione. Unica nel suo genere, la costituzione del Buthan impone che almeno il 60% del Paese rimanga boscosa. Inoltre, misura i progressi, non in base al PIL, ma rispetto a un Indice di felicità nazionale lorda, che dà la priorità al benessere umano ed ecologico rispetto alla crescita economica illimitata.” ⁵
La compagnia degli animali per Emilia era così importante al punto che non avrebbe mai potuto pensare una vita celeste senza di loro. Era sicura che se Dante Alighieri fosse vissuto ai nostri tempi, li avrebbe collocati, a pieno diritto, nel Paradiso Terrestre, con le giuste ed appropriate parole, per darne la geniale motivazione.
La grande e meravigliosa Teologia degli Animali a cominciare da quella di Paolo De Benedetti (classe 1927) la tranquillizzò. ⁶ Avere un’anima accomuna tutti i viventi. Lo stesso termine “animale”, vuol dire che ha l’anima.
(⁵ Il Giornale dell’Ambiente, Massa Certelli: “ONU ha adottato la prima risoluzione “Armonia con la natura”, 24 aprile 2021)
(⁶ Paolo De Benedetti teologo e biblista, docente di giudaismo e di Antico Testamento)
Occorre cioè modificare la visione antropocentrica dell’uomo che lo vede signore o tiranno del mondo per riprendere il ruolo di creatura fra le creature. Pensare che anche per gli animali ci sia un senso alla loro esistenza: cani, gatti, asini, api, galline…che siano rispettati. Liberare l’educazione sentimentale presente negli esseri umani, spesso soffocata dalla notte dei preconcetti ed appetiti. L’uomo dovrebbe splendere e riconoscere che Dio, dopo aver creato tutti gli esserei viventi secondo la loro specie, vide che era cosa buona. Dio li benedisse (Gn. 1,21-22). Basta osservare con cura gli animali per capire che vivono sentimenti e che hanno timore della morte. Il Teologo Sergio Quinzio dice: «Guardate gli occhi di un cane che muore e vergognatevi della vostra presuntuosa filosofia». Decifrare il linguaggio della loro sofferenza, mai muta. L’uomo non vuole vedere o ascoltare preso dalla comodità della propria vita, dall’ingordigia bramante, dallo sfruttamento fino a torturane l’animale per la propria utilità, sperimentazione, macellazione, gioco. Lo sguardo dell’animale che ha paura della morte non è diverso dal nostro. Può essere inerme come un povero prigioniero, un condannato, un perseguitato. I suoi sguardi, urli, i suoi versi consapevoli della morte sono inequivocabili. L’animale soffre, teme la morte, tende alla felicità.
Si sceglie di non udire, di non dare il giusto valore o significato.
La Teologia dell’Animale può essere uno strumento di conversione verso il rispetto di ogni vita. Penso alla crudeltà degli allevamenti intensivi. Per disincarnare le creature si sono definite “industrie dell’allevamento”, come se un essere vivente fosse un pezzo di ferro. Crescere un animale un semplice macchinario, una produzione a catena. Non viene riconosciuto la capacità di soffrire, di amare, di avere paura, di vivere secondo la propria natura.
Nel nostro territorio, storie sacre che hanno disegnato il nascere di paesi e e solenni tradizioni, sempre vive, hanno visto partecipi gli animali.
La storia della relazione, oggetto del racconto, è antica quando quella dell’uomo sulla terra. Pertanto, vederci separati e distinti o collocarsi in fantasiosi ed arroganti ambiti gerarchici potrebbe essere un grande errore. Il nostro territorio, impregnato di religiosità non lo vede inflessibile. Nella tradizione cattolica garganica e di capitanata, l’animale è presente e “testimone” delle epifanie che hanno segnato la storia delle nostre devozioni, mai incrinate.
Voglio ricordare della prima apparizione dell’Arcangelo Gabriele nella Sacra Grotta di Monte Sant’Angelo. Fra le più meravigliose. Un giorno, Gargano, uomo ricco proprietario di mandrie, pascolava fra i monti del Promontorio. Un toro dal carattere solitario si staccò. Adirato, il pastore lo rincorse. Lo vide sul monte in alto, con le gambe d’avanti genuflesse, proprio dinnanzi la Grotta. Furioso per l’accaduto, prese l’arco e con la freccia avvelenata mirò al povero toro. Questa, però, nella traiettoria, prima di colpire la creatura, si girò come virata da un alito di vento, uno Spirito, una mano invisibile, ferendo chi l’aveva sfrecciata. Attonito ed impaurito tornò al paese per narrare l’accaduto.
Non meno avvincente la narrazione della prima manifestazione della Beata Vergine, Madre di Dio, Maria Incoronata. Apparve ad un conte di Ariano, su una grande quercia, all’alba dell’ultimo sabato di aprile, nel 1001, zona Cervaro a sud di Foggia. Sopraggiunse un contadino, un pastore che si aggirava da quelle parti, Strazzacappa.
La B. V. M. I. mostrò la statua della Madonna Nera. Chiese che venisse posta in una basilica da costruire, nel luogo dove si era manifestata, per essere venerate ed adorata dal suo popolo, da tutti i fedeli. Promise che avrebbe elargito grazie a chiunque l’avesse pregata con Fede e devozione. Il pastore mise in un recipiente (caldarella) dell’olio, improvvisando una lampada votiva. L’appese all’albero per far luce alla Madonna. Sul luogo venne costruita la chiesa, affidata ai monaci Brasiliani di San Guglielmo da Vercelli. Oggi è un grande Santuario. La Basilica ospita la statua della Madonna Nera sull’altare. Grande e viva la devozione. Monaci Brasiliani, di Montevergine, Cistercensi, ne hanno curato la vita pastorale. Si sono aggiunti volontari laici che con spirito di abnegazione si dedicano per collaborare alle attività della parrocchia.
Popoli del Sub-Appennino-Dauno, della Puglia, del sud Italia, si recano in pellegrinaggio, anche a piedi, percorrendo decine di chilometri. Il fine è venerare la Madonna, soprattutto in occasione della sua prima apparizione.
Accanto alla statua dell’Altissima, sull’altare, quattro iconografie: catechesi della sua storia. Alla sua destra un quadro figurativo bellissimo relativo la prima manifestazione.
Rappresentato il bosco di querce verdeggianti, il cielo celeste ricco di rondini. Alcune posate sull’albero. La lampada votiva accesa, appesa al ramo. Il pastore inginocchiato con il volto verso l’alto. Due buoi con le gambe davanti genuflesse.
Anche in questa commovente storia, sono rappresentati i buoi inginocchiati. Presenti accanto all’uomo al sacro evento.
Fra le iconografie dell’apparizione della Madonna Incoronata, è diffusa l’immagine della quercia con la statua poggiata sul fogliame, ai piedi il contadino con due buoi genuflessi.
Al convento di San Matteo (San Marco in Lamis, FG) si portavano a benedire gli animali.
Molti quadri ex voto, conservati nel Santuario, hanno come protagonista: cavalli, mucche, ecc., guariti da disgrazie o malanni. Essi sono dono di ringraziamento per la preghiera accolta dal Santo, quella di far tornare in salute la povera bestia.
Sempre si è usato portare al cospetto del santuario gli animali, per ricevere la protezione dell’Evangelista, con la benedizione impartita dai monaci.
Nella Biblioteca è stata trovata una preghiera specifica su un manoscritto del 1779. Tramite l’intercessione di San Matteo, si chiede di “liberare e preservare da ogni infermità, avversità e pericolo” le creature a lui affidate.
In un’altra formula, utilizzata anticamente nel Santuario si chiede a San Matteo: la salvezza dell’anima per i fedeli e per gli animali quella del corpo: “ “Sicut fideles animas / ad astra coeli sublevas // Sic animantium corpora / a morsu, veneno libera”. ⁷
( ⁷ Dal sito http://www.santuariosanmatteo.it/ La benedizione degli animali)
Vi è una testimonianza di Fra Agostino Mattielli, del 1683. Narra che il convento si chiama San Matteo da quando ricevette un dente del Santo, da Salerno. Conservato in un ostensorio d’argento. Oggetto di sentite devozioni.” Soprattutto per i miracoli e le grazie che ricevettero tanti animali diffusi in Puglia: mucche, cavalli, maiali, percore… Toccati con olio che ardeva sull’altare, guarivano, tornando in salute. Se gli armenti erano distanti dal convento, chiedevano ad un frate di raggiungerli per ricevere la protezione del santo con la benedizione.”.
Ancora oggi, pastori devoti chiedono il rito della benedizione per il loro bestiame.
In tutta l’Italia gli usi e le credenze si ripetono, come quella di
Sant’Antonio Abate protettore degli animali. Le iconografie lo ritraggono circondato dal cavallo, dal maiale, dalla pecora, dal coniglio, dalla gallina, dalla mucca ed altri ancora.
San Francesco d’Assisi nel suo Cantico delle Creature, inizia con la dolcissima lode: “Laudato sie, mi Signore cum tucte le Tue creature..”
In tutti i suoi racconti, nelle sue cinque leggende, gli animali sono inclusi nell’amore, nel rispetto, nella vita. Essi sentivano il suo bene. A lui si avvicinavano con amore, come quando ha predicato agli uccelli.
Nel capitolo secondo, Il Vangelo della Creazione, dell’Enciclica “Laudato Sì” di papa Francesco, 24 maggio 2015, cogliamo delle affermazioni, fra queste:
“Ogni maltrattamento verso qualsiasi creatura è contrario alla dignità umana”;
“In ogni creatura abita il suo Spirito vivificante che ci chiama a una relazione con Lui” ; ⁸
“…essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale…” ⁹
Nelle Sacre Scritture gli animali sono presenti come a partecipare al Messaggio e Piano di salvezza come nel Vangelo di Lc12,6:”…nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio”.
Dio comandò Noè di costruire l’arca e condurre con sé gli animali alla salvezza dal diluvio.
⁸ (Laudato Sì, enciclica di papa Francesco, cap. II)
⁹ (Enciclica di papa Francesco, Laudato Sì, cap. II, 89)
Cristo è l’Agnello pasquale. Un grande pesce salva Giona dal naufragio,…
Dio creò l’animale per dare all’uomo una compagnia. Sono solo alcuni esempi.
Sublime è la “teologia degli animali”. Fondata, come già sopra accennato, da Paolo De Benedetti ( 23 dicembre 1927 ) teologo e biblista italiano. Secondo il teologo, avere un’anima è di tutti i viventi. Essa avvicina al Dio creatore. Le ribadisce in un prezioso libro, “Il Paradiso ad attenderci (Ed. Sonda). Nel libro riprende le parole di Sergio Quinzio teologo: “Guardate gli occhi di un cane che muore e vergognatevi della vostra presuntuosa filosofia”. Il problema non è se gli animali possono ragionare ma se possono soffrire. Rimprovera la Chiesa Cattolica di aver trascurato gli animali per un delirio antropocentrico che ha prodotto indicibili violenze e crudeltà. ¹ ⁰
(¹ ⁰ Per approfondimenti consultare il sito di Istituto Italiano di Bioetica. La bibliografia è ricca).
L’uomo non può fare a meno di loro. Sarebbe pervaso da un senso di solitudine infinita.
Chi non attende la rondine tornare al suo nido. Anche il più distratto ne è lieto. La felicità di ricevere le moine del proprio cane, incrociare il suo sguardo; sentire le fusa del gatto, osservare le mucche al pascolo, sono dimensioni di gioie uniche. Le mille favole che narrano la forza del leone, riconosciuto Re di ogni foresta, sono inni di gioia che i genitori proclamano ai propri bambini. Per ogni animale l’uomo nutre sentimenti. Non credo sia il sogno di nessuno vedere nel cielo solo aerei lasciare fumi maleodoranti, sapere che nei boschi non ci siano cinguettii, che sui pascoli o sui monti è inutile cercare mucche brucare o aquile volare. Vi è il desiderio di lasciare alle prossime generazioni l’ opportunità di vivere medesime emozioni. Si sente il dovere di conservare il mondo, di tutelare il creato, dono di Dio eterno ed immanente, immensamente meraviglioso. Esiste e pertanto si percepisce il diritto di questi esseri a sopravvivere e godere la Terra esattamente come l’essere umano.
A cura di Anna Piano
Foto:
PARADISO TERRESTRE
DI ANNA PIANO
ACRILICO SU TELA
L’artista Anna Piano, con l’opera Paradiso Terrestre, attualizza della Divina Commedia, di Dante Alighieri, un elemento del Paradiso.
Vi pone, gli animali.
Se Dante fosse vissuto in questi tempi, sicuramente li avrebbe pensati e collocati con tutti i diritti nel Paradiso Terrestre.
Avrebbe trovato motivi e parole giuste per darne la motivazione.
La Genesi, nel primo capitolo, riguardo la creazione, racconta come gli animali siano stati creati per fare compagnia all’uomo.
Purtroppo, disobbedendo al comando di Dio divenne peccatore.
Come tale rese gli animali schiavi, fino a farne oggetto per saziare ingordi appetiti.
Il Paradiso rappresenta il riscatto da tante sofferenze.
Fra gli animali, l’artista ha scelto la mucca podolica garganica, l’asino, la lumaca. Sono solo rappresentativi rispetto ad ogni genere e specie.
Dante fa capolino da un’arcata. Guarda curioso e consenziente. Si compiace di vederli lì.
Nella parte alta dell’opera la rosa nella iniziale di Maria: emme.
E’ il luogo dove risiedono le anime candide del Paradiso.
Essendo fatte di luce, pienezza di beatitudine eccelse, non si intravedono i tratti.
Dante La pone al vertice, al di sopra di tutti.
Ella può intercedere a Dio, affinchè dia al sommo poeta la possibilità di comprendere i misteri divini.
Le stelle rappresentano la strada verso la meta.
L’autrice le pone in discesa, dall’alto verso il basso. Un invito a volgere lo sguardo verso il cielo.
La luce delle stelle e della luna, possono aiutarci per intravedere il cammino.
Un viaggio interiore, nel nostro animo e coscienza.
Esteriore, nella concretizzazione della vita quotidiana.
Le stelle rappresentano la via per salire alla santità.
L’ascesa necessaria per capire il messaggio di Dante.
Anna Piano.
PARADISO TERRESTRE
DI ANNA PIANO
ACRILICO SU TELA
L’artista Anna Piano, con l’opera Paradiso Terrestre, attualizza della Divina Commedia un elemento del Paradiso.
Vi pone, gli animali.
Se Dante fosse vissuto in questi tempi, sicuramente li avrebbe pensati e collocati, con tutti i diritti, nel Paradiso Terrestre.
Avrebbe trovato parole giuste per darne la motivazione.
La Genesi, nel primo capitolo, riguardo la creazione, racconta come gli animali siano stati creati per fare compagnia all’uomo. Dio li benedice.
L’uomo disobbedendo al comando di Dio divenne peccatore.
Come tale rese gli animali schiavi, fino a farne oggetto per saziare ingordi appetiti.
Il Paradiso rappresenta il riscatto da tante sofferenze.
Fra gli animali, l’artista ha scelto la mucca podolica garganica, l’asino, la lumaca, le rondini, il gatto. Sono solo rappresentativi rispetto ad ogni genere e specie.
Dante fa capolino da un’arcata. Guarda curioso e consenziente. Si compiace di vederli lì.
Nella parte alta dell’opera la rosa nella iniziale di Maria: emme.
E’ il luogo dove risiedono le Anime Candide del Paradiso.
Essendo fatte di luce, pienezza di beatitudine eccelse, non si intravedono i tratti.
Dante pone la Madonna al vertice, al di sopra di tutti.
Ella può intercedere a Dio, affinchè dia al sommo poeta la possibilità di comprendere i Misteri Divini.
Le stelle rappresentano la strada verso la meta.
L’autrice le pone in discesa, dall’alto verso il basso. Un invito a volgere lo sguardo al cielo.
La luce delle stelle e della luna possono aiutarci ad intravedere il cammino.
Un viaggio interiore, nel nostro animo e coscienza.
Esteriore, nella concretizzazione della vita quotidiana.
Le stelle rappresentano la via per salire alla santità.
L’ascesa necessaria per capire il messaggio di Dante.